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Una voce da straniera

Intersezioni Meridione
Pregiudizi linguistici tra nord e sud e del mondo

Due storie di migrazione - dal sud verso il nord Italia e dall’Europa verso l’Argentina - pongono i riflettori sul tema dei pregiudizi verso i migranti e su quello delle discriminazioni linguistiche. Storie che conducono a una riflessione: è la posizione di potere assegnata ai territori geografici in cui si è nati o si è vissuto ad incidere sulle percezioni che le società ospitanti hanno nei confronti degli stranieri e dei loro sistemi linguistici e comunicativi.
All’età di cinque anni affrontai un lungo percorso migratorio. Ricordo ancora che dalla Sicilia partimmo in macchina verso il nord Italia, verso una nuova alba, più boschiva, economicamente più stabile. Quando iniziai ad andare alle elementari non sapevo ancora né scrivere né leggere (le mie compagne erano già al terzo libricino letto in autonomia). Ho memoria di una lezione di italiano in cui venni derisa perché «si capisce che è di fuori, parla in maniera strana!», perché si diceva «purtroppo» e non «pultroppo», «bella» e non «bbella», perché non riuscivo a dire bene parole che contengono le consonanti «gl»: io «coniglio» lo pronunciavo «conijo». È che io fin a quel momento avevo sentito solo il dialetto siculo, quella cadenza meridionale mi ricordava casa.

Quella da me vissuta era l’Italia degli anni ’90, un periodo storico tracciato da linee migratorie che dal sud conducevano al nord Italia. Nei libri di storia si narra di un Mezzogiorno italiano che, sia pur con un’intensità diversa nei vari periodi, non ha mai cessato di svolgere il suo ruolo di area di emigrazione nella storia d’Italia. I flussi migratori, già consistenti a partire dagli anni ’50, hanno caratterizzato gli ultimi decenni, contraddistinguendo anche il tempo presente e la società odierna.

Il fenomeno della migrazione racchiude innumerevoli punti di vista, tra cui le voci degli immigrati, degli stranieri. Il sociologo Georg Simmel definisce lo straniero una figura instabile, in quanto vicina e lontana contemporaneamente al nuovo gruppo e in grado di provocare all’interno di società ospitanti curiosità, coinvolgimento ma anche sensazioni di minaccia e di distanza sociale. Non è difficile che gli immigrati, nello stabilire forme di appartenenza sociale nel nuovo ambiente, sperimentino ostacoli e situazioni problematiche e siano vittime di luoghi comuni e pregiudizi sociali da cui è difficile riuscire a liberarsi.

I pregiudizi sono degli strumenti cognitivi che orientano il comportamento dell’essere umano verso gli altri, soprattutto verso altri che non si conoscono. Si parla di pregiudizi come un qualcosa da combattere, quando questi risultano formati per «pregiudicare», quando fungono da strumento di esclusione sociale. Certe attitudini antagonistiche e pregiudizievoli verso l’altro possono dipendere da differenze culturali, da diversità estetiche, ma anche da dissomiglianze linguistiche.

Le proprietà linguistiche di una persona (includendo accenti, toni della voce, il lessico, la grammatica, l’uso del dialetto) vengono regolarmente sottoposte a valutazione. Secondo un’indagine linguistica seguita dalle docenti Francesca Bianchi e Silvia Calamai, ancora oggi molte lingue regionali e minoritarie (principalmente appartenenti al Meridione e a zone periferiche dello stesso) sono definite «brutte», «sgradevoli», «scorrette»; a differenza di quelle varietà glottologiche considerate standard, appartenenti specialmente all'area geografica del nord Italia ed etichettate come «belle», «gradevoli», «corrette». Si tratta di valutazioni, relative a un’estetica linguistica, per anni influenzate dal ruolo pervasivo che il nord Italia ha avuto nella politica economica del paese.

Come sostengono Grassi, Sombrero e Telmon nel loro Fondamenti di dialettologia italiana nell’Italia degli anni ’80 e ’90, oltre al privilegio riservato al fiorentino, fu proprio il milanese ad essere associato all’accento della classe dominante, a differenza di quei tratti meridionali associati all’arretratezza del Mezzogiorno e al suo ruolo subordinato nell’economia nazionale. In merito al pregiudizio linguistico antimeridionale, Nora Galli De’ Paratesi effettuò una ricerca nel 1984 a Milano, Firenze e Roma. Furono intervistati 270 giovani a cui veniva chiesto di indicare quale varietà preferivano tra quelle standard (accento Rai): quella romana, quella fiorentina, quella milanese o quella meridionale e per quale ragione. Come prevedibile, il più alto indice di popolarità fu attribuito alla pronuncia fiorentina, il più basso a quella meridionale. Tra i giudizi emersi vi erano affermazioni senza alcun fondamento linguistico del tipo: «È un italiano incomprensibile», «è come se fosse una lingua straniera», «non è adatto alla vita pratica moderna». In questa ricerca molti giudizi negativi venivano dati proprio da informanti di origine meridionale, da cui ci si sarebbe aspettati una maggiore solidarietà. La ricerca sottolineava propriamente l’esistenza di un quadro sociale desideroso di mostrarsi sotto un profilo prevalentemente italofono e di un pressione scolastica tale da generare, anche all’interno delle famiglie, certe forme di dialettofobia.

Anche il linguista e dialettologo Giovanni Ruffino, in una ricerca pubblicata nel 2006, ha messo in evidenza un’emblematica negatività di giudizio espressa da alcuni bambini siciliani nei confronti del loro dialetto. L’autore riporta delle frasi esposte da alcuni di questi bambini, tra le quali: «Vorrei che tutte le persone della Sicilia parlassero il milanese», oppure «io volevo nascere a Firenze, non a Partinico, ma il mio destino è stato questo». Un carattere denigratorio e autodenigratorio che pare non solo essere trasmesso ai più piccoli, ma anche assimilato da questi ultimi con molta rapidità.

Tra le varie forme di discriminazione presenti in Italia, dunque, vi è quella linguistica che è certamente da attenzionare; la lingua è molto importante in quanto è il riflesso di un’identità culturale, è legata alla provenienza geografica e all’appartenenza a un gruppo.

All’età di ventiquattro anni, ebbi la fortuna di svolgere un’esperienza di volontariato di circa un anno in Argentina. Decisi di partire sola e soprattutto senza conoscere lo spagnolo. Fin dall’inizio, gli argentini che mi ospitarono in comunità sorridevano nel sentirmi parlare italiano, giudicando la mia lingua come «bella» e «dolce», incoraggiandomi ogni giorno all’apprendimento. Sembravano provare un sentimento di apertura nei miei confronti, verso quel popolo italiano a loro tanto familiare e verso quel mondo occidentale per loro tanto accattivante. Mi introdussero fin da subito in un istituto scolastico infantile come figura di supporto alle maestre e dopo soli pochi mesi venni assunta come insegnante di italiano in una comunità adolescenziale. Rispetto a quanto avevo vissuto in passato (con riferimento alla mia prima migrazione), questo viaggio rappresentava per me un modo diverso di vivere l’apprendimento, di sentirmi straniera, di considerare la mia lingua.

Tra le lingue più studiate nello stato argentino l’italiano si trova al secondo posto dopo l’inglese. Secondo l’indagine Italiani nel Mondo del 2010 realizzata da Giovanardi e Trifone, i principali motivi che fanno dell’italiano la seconda lingua straniera più studiata in Argentina sono quelli personali e familiari e tra le opzioni specifiche prevalgono «la volontà di ricongiungersi con i familiari in Italia» e la «famiglia di origine italiana». Attualmente, la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero è delegata principalmente agli Istituti italiani di cultura, con più di ottanta sedi distribuite in cinquantasette paesi. Tra le altre cose, la lingua italiana ha avuto un influsso piuttosto rilevante sullo spagnolo argentino, soprattutto per quanto riguarda la pronuncia.

Tra le altre lingue parlate in Argentina ci sono (per ordine di maggiore diffusione): il quechua, il tedesco, lo yiddish, il guaranì, il catalano e il mapudungun. Di questi, quechua, guaranì e mapudungun sono lingue indigene; invece tedesco, yiddish e catalano sono arrivate in Argentina attraverso immigrati europei.

Ad oggi sono le lingue indigene a essere considerate in via d’estinzione e ciò a causa di una mancata trasmissione alle generazioni più giovani. Quest’assenza di continuità nel tramandarle deriva da molteplici fattori: i trasferimenti forzati delle comunità indigene, l’esclusione delle lingue locali dall’insegnamento scolastico, l’analfabetismo dilagante e la stessa povertà che colpisce le popolazioni indigene.

Risulta accecante la trascuratezza mondiale verso le lingue minoritarie, così come risulta evidente l’interesse che molti stati detengono verso le lingue europee, ne è un esempio il ruolo egemonico e centrale che, in epoca odierna, riveste la lingua inglese. Il fenomeno del code switching, ovvero quella necessità di rimodulare il proprio codice comunicativo per farsi accettare maggiormente dalla cultura predominante (apprendendo per esempio parole inglesi), cresce sempre più. Il prestigio della lingua anglosassone affonda le proprie radici nell’impero coloniale britannico e nell’l’ascesa degli Stati Uniti d’America; questo mette in risalto come la diffusione di una determinata lingua possa essere dettata soprattutto da ragioni politiche. Esiste una poesia scritta da una giovane scrittrice afroamericana, Nayyirah Waheed, che sembra far trapelare il tema delle lingue europee imposte nel mondo.




My english is broken. (il mio inglese è rotto/sporco )

on purpose. (di proposito)

You (tu)

have to try harder to (devi sforzarti per)

understand (capire)

me. (me)

Breaking this language (sporcare/rompere la lingua)

you so love (che ami tanto)

is my pleasure. (è un piacere per me)

In your arrogance (nella tua arroganza)

you presume that I want (credi che io voglia)

your skinny language. (la tua lingua ossuta)

That my mouth is building a (che la mia bocca stia costruendo una)

room for (stanza per)

It (essa)

in the back of my throat. (sul retro della mia gola)

it is not. (non è così)

I have seven different (io ho sette diverse)

words for love. You (parole per amore. Tu)

have only one. That makes a (ne hai solo una. Questo dice)

lot of sense. (molto)



Tramite secoli di colonizzazioni e di supremazia culturale europea furono imposte lingue a chi ne aveva già una (o più di una) e non ne aveva probabilmente bisogno.

Esiste un vero e proprio scambio asimmetrico che si svolge tra il «centro», in riferimento all’Europa, e la periferia (paesi arabi, orientali, latinoamericani); uno scambio che non caratterizza solo i settori dell’economia e della politica, ma anche quello della comunicazione linguistica e della cultura. A un livello d’analisi interno al nostro paese, e pur in assenza di dinamiche esplicite di colonizzazione, sembra esistere comunque un simile scambio asimmetrico in cui la sponda nord italiana, genericamente considerata più sviluppata, assume il ruolo di il perno attorno cui ruota tutto il resto di Italia.

L’essere umano sembra nascere posizionato all’interno di una mappa geografica caratterizzata dai seguenti punti cardinali: Nord, Sud, Est, Ovest. Questi ultimi non sono oggettivi ma culturali, nonché quadri di riferimento antropologici che servono a orientarsi nel mondo. Le pericolosità delle mappe geografiche, se non consapevolmente utilizzate, sta proprio nell’essere in grado di veicolare senso d'identità, possesso; sono capaci (in quanto utilizzate da uomini) di costruire valori, gerarchie, prospettive da cui guardare la propria presenza nel mondo.

In un mondo odierno, dove generalmente ciò che è al Nord è considerato progressista mentre ciò che è al Sud arretrato, è importante sottolineare l’esistenza di innumerevoli, relative e possibili prospettive che ribaltino questa ideologia binaria basata sul fuorviante concetto di progresso e che diano importano all’enorme capitale umano, culturale e naturale che considera il mondo nella sua globalità e interdipendenza regionale.

Essendo nata a Palermo, al «sud», ho da sempre sentito quella distanza immane tra il Nord e il Sud e quella sottolineatura della mia identità meridionale. Un’identità geografica messa in discussione, ma allo stesso tempo potenziata, dalla mia esperienza in Argentina. Lì, sono stata vista e percepita per la prima volta come una persona in posizione di privilegio, perché «nordica» e perché proveniente dal «centro del mondo». Sicilia e Argentina sono state e continuano a essere terre attraenti, fertili, ospitali, caratterizzate da flora e fauna eterogenee, poste geograficamente in punti «strategici», terre dislocate entrambe al «sud» di qualche altra «potenza».

Tra le pratiche creative e interculturali in grado di avvicinare le prospettive del sud alle visioni del nord si colloca il teatro, in quanto possibile strumento di dialogo interculturale. Per offrire un esempio, a Palermo ItaStra (Scuola di lingua italiana) e Teatro Libero di Palermo nel 2017 realizzarono insieme il progetto Teatro delle differenze, che consisteva in un laboratorio artistico dedicato a studenti stranieri, generando una positiva esperienza di confronto tra mondi e culture diverse. Pratiche come questa, che interpellano i campi della riflessione critica e della narrazione, possono certamente assumere un ruolo centrale al fine di favorire il dialogo tra nord e sud, promuovendo la cosiddetta decolonizzazione del pensiero. Lo scrittore Édouard Glissant a tal proposito propone il concetto di «Tutto-Mondo». Questo concetto prova a rompere quelle forme di chiusura del sé, quei recinti territoriali, nazionali, etnorazziali, religiosi. Nel pensiero di Glissant, il mondo del «Tutto-Mondo» si attorciglia e si intreccia in relazioni intricate tra una molteplicità di centri. Decolonizzare il sapere, le arti e il pensiero è cercare di ascoltare, guardare e vedere la realtà partendo da più mondi o centri contemporaneamente. Un’operazione necessaria anche per porre fine alle discriminazioni linguistiche che regolano la nostra idea di nord e di sud.
Letture consigliate

F. Bianchi e S. Calamai, 2012, Voci Italiane e straniere a confronto. Indagini sugli stereotipi associati agli accenti stranieri, «Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali», 2, 4, pp. 149-163

G. Ruffino, 2006, L’indialetto ha la faccia scura. Giudizi e pregiudizi linguistici dei bambini italiani, Sellerio, Palermo

F. Robustelli, 2019, Egemonia dell’inglese ed egemonia americana, La COOltura, 4 Aprile

A. Oster, 2015, Novecento nord/sud. Verità e punti cardinali nello specchio d’Europa (Luigi Capuana, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino), Babel, 32, pp. 221-240

A. Mbembe, 2021, Note sul tardo eurocentrismo., 2021, Il Lavoro Culturale, 3 Agosto.
Caroline Marchese è nata a Partinico (PA) nel 1993. All'età di cinque anni affronta un percorso migratorio che segna la sua vita, trasferendosi dal sud al nord Italia. In età adulta, dopo la laurea in Servizio sociale e l'abilitazione alla professione di assistente sociale specialista, decide di intraprendere un viaggio in solitaria verso l'Argentina come assistente sociale missionaria. Uno spostamento geografico destinato a divenire la seconda migrazione più significativa della sua vita.