Per chi non ha tempo di leggere tutto, questo papiro serve a dire: (1) Se volete acquistare i nostri libri, fatelo nelle librerie indipendenti; (2) Amazon è un modello dannoso per la filiera del libro, oltre che per la società in generale; (3) Non venderemo i nostri libri ad Amazon, anche se altri potrebbero farlo; (4) Case editrici e librerie indipendenti devono lottare per un’indipendenza sostanziale da Amazon e da altri attori orientati principalmente al profitto, con una corretta informazione, stringendo alleanze e considerando il settore della logistica come parte della filiera del libro
In queste righe, vogliamo condividere con lettrici e lettori di Tamu alcune informazioni sulla circolazione dei nostri libri – questa ‘opera prima’ e i successivi – perché crediamo che chi lavora con i libri non possa che promuovere un’idea della cultura che sia allo stesso tempo spirituale (passateci il termine, non è né più né meno astratto di altre espressioni come ‘nutrimento dell’anima’, ‘strumento di formazione’ e altri termini di solito associati ai libri) e materiale. Anzi, è proprio quest’ultimo l’aspetto che una casa editrice dovrebbe sottolineare nel proprio lavoro artigiano o industriale di produzione e diffusione di testi scritti. Parlare dei libri come materia significa anche mostrarne il valore economico, collocarli nell’economia di mercato, e svelare il lato meno romantico di questo mestiere intellettuale, prendendo atto che il nostro come ogni lavoro culturale in questa società (al di fuori del sistema di istruzione) si svolge per lo più nel libero mercato. Nello stesso mare – il mercato del libro – Tamu Edizioni nuota con moltissimi altri pesci di ogni calibro e insieme al cetaceo più grande che si sia mai visto, la piattaforma Amazon. C’è quindi un nesso tra l’impresa che appartiene all’uomo più ricco del mondo, che nel 2019 registra un fatturato di 280 miliardi di dollari, e il nostro neonato progetto editoriale: condividiamo (ovviamente in misura parzialissima) lo stesso pubblico e promuoviamo lo stesso prodotto.
Amazon nasce come venditore di libri, concependo il progetto di “vendere tutto" a partire dal presentarsi, già alla fine degli anni ’90, come “la più grande libreria della terra". Sul libro si è sperimentato negli ultimi decenni uno dei modelli più recenti e perversi della logistica, quell’insieme di operazioni che movimentano corpi e merci fondamentale per lo sviluppo del capitalismo, la cui logica moderna è fatta risalire da Stefano Harney e Fred Moten - in un volume di prossima pubblicazione per Tamu Edizioni - alla tratta atlantica degli schiavi. Un modello, quello di Amazon, che fa dell’efficienza e della velocità di consegna i suoi unici criteri, attorno al quale si è sviluppata un’architettura distributiva fondata su un pesante sfruttamentolavorativo e su un rapporto uomo-macchina che non mira a liberare operai e operaie dai compiti più usuranti, al contrario dequalifica e irregimenta il lavoro umano (anche attraverso braccialetti-spia) mettendolo al servizio degli automatismi robotizzati. Si tratta di argomenti che per alcuni/e possono essere già noti, mentre altri/e possono aver sentito parlare di Amazon in termini altrettanto negativi durante il recente lockdown, quando l’azienda si è scontrata con lavoratori e lavoratrici anche a Piacenza a proposito del rispetto delle misure di contenimento dei contagi.
Facciamo un passo ulteriore e cerchiamo di capire perché, per una piccola casa editrice come la nostra, non sia sufficiente denunciare che alla base della “più grande libreria della terra" c’è questo tipo di organizzazione del lavoro profondamente sbagliata e condannabile.
Come fa Amazon a procurarsi i prodotti che vende? Nel nostro caso, come arrivano i libri nei suoi stabilimenti? La risposta è molteplice, e può contribuire a smitizzare ulteriormente l’idealizzazione per cui l’intero mondo del libro – dalle librerie Feltrinelli al megastore di remainders Libraccio, passando per le piccole librerie indipendenti come la nostra – lavori per il ‘nutrimento dell’anima’. Chiunque disponga di un libro da vendere, dai singoli privati fino alle case editrici, includendo librerie indipendenti, di catena, grossisti e distributori (in pratica tutti quelli che si muovono nella filiera del libro) può aprire un proprio negozio su Amazon e diventare fornitore della piattaforma. E in effetti tutti questi soggetti (fatte salve le eccezioni) scelgono di integrare la propria attività vendendo anche su Amazon. È questo il motivo per cui anche case editrici che non forniscono direttamente i propri libri al colosso statunitense li vedono poi comparire sulla piattaforma. Volendo immaginare la filiera del libro più lunga possibile, una singola copia dell’ultimo poliziesco italiano di grido potrebbe essere venduta dalla casa editrice al proprio distributore, da questi ai grossisti con cui il distributore lavora, dai grossisti a una libreria, da una libreria a un/a lettore/trice. Ognuno di questi anelli della catena potrebbe decidere, invece di passare il libro all’anello successivo della filiera ‘tradizionale’, di venderlo direttamente ad Amazon ricavandone un guadagno.
Da questo quadro raccogliamo una decisione e una constatazione:
Non essendo fornitori diretti di Amazon, né con Tamu Edizioni né con la libreria Tamu, rinunciamo alla vetrina dominante sul mercato globale e allo stesso tempo non diamo il nostro consenso a dividere i profitti con un soggetto che è promotore attivo di una serie di processi dannosi, con ricadute non solo sul mondo del lavoro, ma anche sull’ambiente e sulle relazioni sociali.
Non potendo intervenire su rapporti commerciali tra privati che rivendono a una terza parte – anche se a essere venduto è un libro pubblicato da noi – non ci resta che diffidare simbolicamente dal fornire i nostri libri ad Amazon tutti quegli attori che utilizzano questa possibilità di allargare il proprio mercato, a partire dai grossisti e dalle librerie di catena che condividono con Amazon una logica commerciale di omologazione del lavoro culturale e massimizzazione dei profitti. Diffidiamo anche le librerie indipendenti – che condividono con noi il fatto di lavorare su piccolissima scala, dovendo lottare per crearsi un pubblico, una rete di fiducia – perché vendendo su Amazon preparano il terreno alla propria scomparsa, poiché la piattaforma studia attentamente i modi per risultare più conveniente rispetto ai suoi stessi fornitori.
Abbiamo scelto di inquadrare la nostra casa editrice fin da subito come un progetto che potesse costituire – non inizialmente ma quantomeno in potenza – la principale fonte di reddito di un piccolo gruppo di persone (attualmente tre), un po’ come poco più di due anni fa avevamo scritto a proposito dell’apertura della libreria Tamu che “è forte l’esigenza di trovare un lavoro che ci lasci spazi di creatività e margini di autonomia in questa società schiacciata dalla competizione". La decisione di fare della nostra passione e delle nostre capacità intellettuali un lavoro implica l’accettazione di numerosi compromessi, non ultimo quello di avere rapporti commerciali con altri attori che non sono meno deprecabili di Amazon: i grandi gruppi editoriali, che possiedono anche le principali librerie di catena e gli altri store online, i quali lavorano attivamente per la riduzione della bibliodiversità (livellando l’offerta culturale e sostituendo in misura sempre maggiore il tessuto librario indipendente – oggi purtroppo la gran parte delle librerie italiane fuori dai grandi centri è di catena e il loro potere economico è in crescita –, librerie che sono inondate dalla sovrapproduzione degli stessi grandi editori che immettono sul mercato il 90% delle copie e l’80% dei titoli stampati in Italia).
Oggi una casa editrice indipendente che aspiri a tenersi sulle proprie gambe non può contare sul solo tessuto delle librerie indipendenti, che pure rappresentano l’unico luogo in cui il lavoro editoriale viene davvero valorizzato e in cui può trovare spazio tutta la varietà di linguaggi testuali e visivi che dovrebbe caratterizzare la creazione di un libro.
Tuttavia si può partire dai lati positivi degli assetti attuali per immaginare un futuro migliore per questo settore: le case editrici indipendenti in Italia, tra le quali molte – costrette negli stessi vincoli di mercato che abbiamo descritto – fanno un gran lavoro di divulgazione politica, si stanno dimostrando abilissime nella scelta delle proprie pubblicazioni e della propria linea editoriale, e pubblicano testi imprescindibili, il cui valore riesce a emergere seppure in un contesto che tende a oscurarli (si pensi alla recente assegnazione del nobel per la letteratura a Louise Glück, la cui unica pubblicazione in italiano si è rivelata edita dalla libreria-editrice Dante & Descartes, nostra vicina di casa nel centro di Napoli).
Rivolgendo di nuovo lo sguardo agli attori del mercato del libro, è indubbio che la nascita di piattaforme su scala nazionale che mettono i servizi di logistica al servizio delle librerie indipendenti è una novità da considerare positivamente (le più note sono Goodbook, Bookdealer e Libri da asporto) e non solo in tempi di lockdown, almeno per la loro ambizione a competere sul terreno dell’ecommerce archiviando la tradizionale contrapposizione tra quest’ultimo e il tessuto delle librerie.
È importante che stia passando il messaggio che l’editoria indipendente costituisce una parte non trascurabile e non destinata all’estinzione della produzione editoriale, e può avere una sua filiera che, se coltivata lavorando nell’interesse di tutti, può emergere e mantenersi in buona salute. Un esempio incoraggiante in questo senso è un altro strumento per editori e librerie, Librostore, che integra la logistica nella gestione di rapporti liberi e di mutuo accordo tra editori e librerie indipendenti. Ed è proprio il settore della logistica che andrebbe riconosciuto come centrale in questo lavoro culturale: le persone che più spesso entrano in una libreria, insieme a lettori e lettrici, sono i/le dipendenti di Gls, Bartolini, Sda, Dhl, Ups, sigle che ormai rappresentano una sorta di fondale permanente in ogni strada delle nostre città. I soggetti indipendenti della filiera del libro sono strettamente vincolati al funzionamento dei magazzini di queste imprese, quindi anche su questo terreno si gioca la possibilità di immaginare un mondo del libro che non produca il ‘nutrimento dell’anima’ a spese dello sfruttamento dei corpi di chi permette la circolazione (stradale, autostradale, aerea) della cultura.
Noi come ci stiamo organizzando per puntare verso questo obiettivo?
Abbiamo scelto di essere distribuiti da DirectBOOK, che non è fornitore diretto di Amazon e basa la sua politica sulla promozione di editori piccoli e medi. Abbiamo contattato decine di librerie indipendenti che hanno risposto con la consueta generosità di questa particolare categoria, accettando di dare spazio al nostro primo libro ancor prima di leggerne anche solo una recensione. Faremo il possibile per privilegiare una fruizione delle nostre pubblicazioni che preveda l’incontro fisico delle persone, l’unico vero amuleto a difesa delle librerie indipendenti ma anche, potremmo dire, a difesa di ogni percorso di apprendimento personale e collettivo (quando le attuali restrizioni non saranno più necessarie). Utilizzeremo i nostri canali di comunicazione esclusivamente per promuovere i soggetti indipendenti della filiera del libro. Prenderemo parola nelle occasioni di dialogo tra addetti ai lavori per sottolineare la centralità dei servizi logistici nella filiera del libro di oggi e cercheremo di capirne il funzionamento per provare a contribuire a ridurne le storture.
Mettere in discussione il dominio del modello Amazon non è possibile se le armi che usiamo sono stantie rievocazioni della sacralità del libro, ancora una volta ‘cibo dell’anima’, che vorrebbe questo oggetto diverso da qualsiasi altro bene commerciabile (che è vero solo se crediamo che un libraio abbia un’anima là dove il gestore di un ferramenta o di una tabaccheria ha uno stomaco). Non è possibile nemmeno presentandoci come indipendenti in un mercato che è, al contrario, una ragnatela di vincoli tra soggetti diversi che hanno interessi diversi ma tutti in qualche modo interconnessi. La nostra indipendenza va realizzata e non semplicemente dichiarata, per questo abbiamo preferito scrivere questo testo invece che dirvi “Noi non saremo su Amazon" nascondendovi che – per tutti i motivi che abbiamo spiegato – questa affermazione è in pratica priva di senso.
Case editrici e librerie indipendenti possono riconoscersi come parte di uno stesso gruppo e sostituire la competizione interna con pratiche di cooperazione che aumentino il peso e il prestigio di tutto il settore (un esempio sono le iniziative di adozione delle librerie da parte degli editori, lanciate durante il recente lockdown). Solo allargando progressivamente questo tessuto e incoraggiandone la varietà e la ricchezza di contenuti è possibile ridurre il bisogno materiale di affidarsi alle strutture controllate da Amazon e dai grandi gruppi editoriali. Si tratta di un percorso molto lungo che vorremmo costruire, come ci siamo proposti di fare fin dall’inizio, creando innumerevoli relazioni e intrecciando innumerevoli esperienze.
Tamu Edizioni