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Siamo davvero contro ogni tipo di violenza?

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A tre mesi dalla morte di George Floyd, il dibattito scaturito dalle proteste di #blacklivesmatter ha condannato sia le violenze poliziesche che dei manifestanti. Bernadette Atuahene smaschera l'ipocrisia che si nasconde dietro questa posizione e dimostra che, quando la risposta civile porta alla morte, l’inciviltà è l’unica scelta possibile.


Tre mesi fa George Floyd moriva asfissiato sotto il ginocchio di un poliziotto bianco a Minneapolis. Le insurrezioni di #blacklivesmatter che sono scoppiate in molte città degli Stati Uniti in seguito al suo omicidio, hanno segnato il dibattito pubblico sul razzismo contro la popolazione nera e la violenza poliziesca in tutto il mondo. Del resto, i linciaggi contro la popolazione afroamericana per mano della polizia non si sono placati, come testimoniano i sette spari alle spalle di Jacob Blake ieri a Kenosha, in Wisconsin. Tuttavia, durante questi mesi, anche in Italia, una generica solidarietà per i diritti delle persone nere ha spesso lasciato il passo a reazioni sdegnate quando le manifestazioni di protesta hanno assunto la forma dei riots. In questo breve intervento, pronunciato durante il convegno online della Law & Society Association lo scorso 31 maggio, la ricercatrice Bernadette Atuahene si schiera apertamente contro la posizione molto diffusa – in America e non solo – di coloro che condannano la violenza della polizia ma si schierano contro i saccheggi e gli incendi compiuti da una parte dei manifestanti. Secondo Atuahene, la domanda da porsi non è “perché i manifestanti compiono i saccheggi?” ma “per quale motivo non dovrebbero farlo?”. Con parole precise e potenti, questo breve contributo smaschera l’ipocrisia che si nasconde dietro questa posizione e dimostra che, quando la risposta civile porta alla morte, l’inciviltà è l’unica scelta possibile.
SIAMO DAVVERO CONTRO OGNI TIPO DI VIOLENZA?

La prima cosa che voglio mettere in chiaro è che voglio smetterla di definire quello che sta accadendo come "violenza commessa dalla polizia". Voglio invece iniziare a definire questi gesti per quello che sono realmente. Si tratta di linciaggi moderni, linciaggi commessi ancora oggi.

Gli storici definiscono il linciaggio come un omicidio commesso in pubblico da tre o più individui, che si arrogano il diritto di amministrare la giustizia o di punire un presunto crimine senza alcuna forma di processo. Come molti altri afroamericani disarmati, George Floyd ha subito un vero e proprio linciaggio.

Quattro poliziotti sono coinvolti nel suo omicidio. Lo hanno tirato fuori dalla macchina e lo hanno ucciso di fronte ad altre persone, alla luce del sole. Tutto questo nella convinzione di amministrare la giustizia. E per questo lo hanno condannato alla pena di morte senza alcun processo. Il termine 'linciaggio' potrebbe metterci a disagio oggi giorno. Ma questo è il punto: occorre che ci sentiamo a disagio. Si tratta di linciaggi compiuti nel 2020!

Vorrei usare i pochi minuti che ho a disposizione oggi per affrontare il tema delle insurrezioni che si stanno diffondendo in questi giorni su tutto il territorio americano. Uso il termine ‘insurrezione’ consapevolmente. Non basta definirli tumulti o disordini. Quando si usa il termine ‘insurrezione’ si pensa a una rivolta popolare che mira a ribaltare un governo o delle politiche di quel governo. Quando si parla di tumulti si pensa a un comportamento occasionale e sfrenato. Questa è una insurrezione.

Molti progressisti (neri, bianchi, asiatici, latinoamericani, nativi) stanno condannando le violenze. E per essere onesti stanno condannando ogni tipo di violenza. Se anche tu appartieni a queste categoria, allora sei d'accordo con l'idea che le uccisioni da parte della polizia sono sbagliate, ma che anche il dar fuoco alle stazioni di polizia e i saccheggi dei negozi sono sbagliati. Sei d'accordo con l'idea che qualsiasi violenza è priva di senso e non ottiene niente. Sii onesto, questo è il tuo modo di pensare. Questo mio commento è confezionato proprio per questo modo di pensare.

La domanda non è: perché i manifestanti che protestano stanno bruciando e saccheggiando? La domanda è: per quale motivo non dovrebbero farlo?

Le persone seguono le regole perché si attengono a un contratto sociale che governa la società, ma nello spazio di trenta giorni gli afroamericani sono stati costretti a guardare l’assassinio a sangue freddo, da parte della polizia, di sei persone nere disarmate. E questi sono solo gli omicidi che sono stati filmati. Di quelli che non sono stati filmati da una videocamera che cosa sappiamo? E questo va avanti ormai da secoli.

In aggiunta, gli afroamericani stanno subendo in maniera sproporzionata gli effetti del coronavirus e della conseguente recessione economica. Il virus ci ha sottoposto a una morte che è insieme fisica ed economica. E l’individuo che vive nella Casa Bianca ha reso chiaro a tutti che a lui tutto questo non importa. Il contratto sociale è stato già fatto a pezzi. Per questo motivo la domanda giusta da porre è: perché i manifestanti non dovrebbero darsi ai saccheggi?
Molte menti progressiste si accorgono di come i manifestanti bianchi vengono trattati in maniera differente rispetto ai manifestanti neri. La polizia non ha arrestato i manifestanti bianchi che si sono radunati, armi in pugno, nella capitale dello stato del Michigan. Anzi, in effetti Trump li ha definiti “delle bravissime persone”. Ma la risposta della polizia nei confronti delle attuali proteste è stata offuscata dalla violenza. Evidentemente non pensano che siano “delle bravissime persone”.

E quando Colin Kaepernick e molti altri atleti professionisti si sono inginocchiati per protestare contro i linciaggi per mano della polizia, Trump si è rivolto ai presidenti delle squadre di football con queste testuali parole: “buttate fuori dal campo quel figlio di puttana. Fuori. Licenziatelo. Licenziatelo”.

Quindi, noi che condanniamo la violenza della polizia ma condanniamo anche le violenze dei manifestanti, possiamo vedere chiaramente l’ipocrisia nel modo in cui la polizia tratta i manifestanti. Possiamo vedere in maniera chiara l’ipocrisia nel modo in cui Trump parla dei manifestanti. Ma quello che voglio affermare oggi è che non riusciamo ancora a vedere chiaramente la nostra stessa ipocrisia.

In realtà siamo noi stessi a nostro agio con la violenza. È così! È che siamo a nostro agio solo con alcuni tipi di violenza. Per questa ragione ci troviamo a condannare i saccheggi di Atlanta e Seattle, ma allo stesso tempo quando parliamo ai nostri ragazzi nelle scuole del Tea Party di Boston del 1773, quando i coloni saccheggiarono e distrussero 342 casse di tè, al contrario, lo descriviamo come un momento fondamentale nella storia degli Stati Uniti d’America.

Adesso vorrei parlare in maniera specifica ai miei fratelli e alle mie sorelle cristiani. Condanniamo la distruzione di proprietà altrui a Los Angeles e a New York, ma se torniamo a leggere le nostre Bibbie, scopriamo che quando Gesù si arrabbiò con i disonesti anche lui distrusse proprietà altrui. Nel capitolo 21 del Vangelo di Matteo vediamo che Gesù è entrato nel tempio e ha ribaltato i tavoli dei cambiamonete e dei venditori di colombe. Le sue parole furono: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri”.
Quando Gesù ha perso la pazienza, perfino lui ha distrutto la proprietà altrui. Questi in realtà sono casi di distruzione, a cui oggi volgiamo lo sguardo e li riconosciamo come momenti trasformativi che hanno portato cambiamenti positivi. Quindi oggi il nostro compito è quello di chiederci come possiamo supportare questa trasformazione, invece di condannare la violenza.

E se devo essere completamente onesta, non sono neanche convinta che siamo contro il saccheggio, per quanto tutti si stiano affrettando a condannare il saccheggio a reti unificate.

Certo, condanniamo i saccheggi nell’ipermercato di Minneapolis, ma andiamo nei musei per osservare gli oggetti che sono stati sottoposti a saccheggio prima di essere messi in bella mostra.

Il mio caro amico, Wouter Veraart, ha letto una bellissima relazione ieri sul tema del patrimonio culturale sottratto, e ho già condiviso la mia esperienza. La prima volta che sono stata a Londra, ero con la mia famiglia - apparteniamo agli Ashanti del Ghana - e siamo andati al British Museum. La mostra temporanea in quel periodo era sull’oro degli Ashanti, che era là esposto al pubblico, il nostro oro. Le mie zie misero su il più grosso casino che possiate immaginare. Erano là che gridavano e accusavano “questo è il nostro oro, il nostro oro”. Io ero solo una bambina, mi sentivo semplicemente in grande imbarazzo. Ma oggi, ciò che ricordo di più di quel momento è che le mie zie erano là che gridavano e facevano il diavolo a quattro, ma tutti gli altri erano in silenzio.

Quindi, condanniamo i saccheggi di oggi ma entriamo nei musei e rimaniamo in silenzio. Se davvero siamo contro i saccheggi, per quale motivo continuiamo ad andare nei musei? Non sono così convinta che siamo contro i saccheggi.

Se condanniamo la violenza della polizia e condanniamo anche la violenza dei manifestanti, è davvero così? Siamo proprio contro ogni tipo di violenza? Andiamo nei musei e osserviamo oggetti saccheggiati senza alzare un dito; consideriamo il Tea Party come un momento venerabile nella storia degli Stati Uniti d’America; non condanniamo Gesù per aver ribaltato i tavoli nel tempio. Per quanto diciamo di condannare qualsiasi tipo di violenza, a me non sembra proprio che questo sia vero.

Ci troviamo a nostro agio con alcuni tipi di violenza, e non con altri. Questo è quello che è sotto gli occhi di tutti oggi.

Siamo più a nostro agio con una resistenza civile, come nel nostro caso, siamo qui oggi in uno Zoom Meeting, e stiamo esprimendo il nostro punto di vista su questi temi come persone ragionevoli, ma quello che ci mette a disagio è la resistenza incivile, nella forma di incendi e saccheggi.

Vogliamo occuparci di questi linciaggi in maniera civile, ma quando la civiltà porta alla morte l’inciviltà è l’unica scelta possibile.

Invece di condannare gli incendi e i saccheggi, oggi siamo chiamati a dare spazio a questa inciviltà. Dobbiamo far spazio nei nostri cuori e nelle nostre menti a qualsiasi tipo di protesta. Non solo alle tipologie di protesta con le quali siamo a nostro agio, ma anche alle proteste che ci fanno sentire a disagio. Perché in questo momento siamo tutti chiamati a sentirci a disagio.

Traduzione e introduzione a cura di Gianpaolo Chiriacò
Bernadette Atuahene insegna al Chicago-Kent College of Law-Illinois Institute of Technology e ha ricevuto nel 2020 il premio 'Law and Society John Hope Franklin' per il miglior articolo sul tema del razzismo. Dopo aver lavorato a lungo in Sudafrica, dove ha condotto ricerche per il suo libro We Want What's Ours: Learning from South Africa's Land Restitution Program (Oxford University Press, 2014), Atuahene ha avviato un ampio progetto di ricerca nella città di Detroit, in cui collabora con associazioni ed attivisti per constrastare il sistema delle “predatory cities”, che permette alle istituzioni locali di sottrarre proprietà immobiliari ai cittadini per trasferirle all’interno di fondi pubblici.