Il soggetto del racconto de La Venere degli stracci è lo sgombero del Balon, lo storico mercato delle pulci di Torino, progressivamente confinato lontano dagli occhi di un centro cittadino votato al “decoro”; ma è tra le pieghe degli eventi narrati che si scorgono le ragioni della scrittura. Frammentato e visionario, il libro ci immerge nella complessità eterogenea di un presente in cui ogni posizionamento sembra apparire ugualmente legittimo e ogni aspetto richiede di essere problematizzato.
La Venere degli stracci mi sembra uno scritto prezioso tanto per il suo soggetto quanto per la genialità e la delicatezza del metodo che il suo autore ha messo a punto per restituire un’esperienza di ricerca, di lotta, di riflessione (auto)critica e di scrittura. E mi sembra potente per la sua capacità di indicare una direzione a chi come me sta annaspando per trovare dei modi pratici e psicologici di reagire a questo presente repressivo e oppressore.
Puntellata di interrogativi, autoanalisi, visioni personali e dubbi condivisi, la storia principale è fatta di più storie, un montaggio di frammenti che si incalzano e rimbalzano l’un l’altro. Ogni frammento occupa una pagina e riporta un momento, un documento, una descrizione, una testimonianza, un flusso di coscienza, un’intuizione metodologica, un’immagine visionaria e poetica. Più che ricalcare la cronologia degli eventi, il loro ordine di apparizione mi sembra assecondare il procedere mentale ed emotivo esperito dall’autore. Ciascun racconto ha un inizio, uno sviluppo non lineare e un finale aperto. Ogni pagina evoca un universo molto più ampio, complesso e controverso. Chi legge è chiamato a tirare le fila e unire i puntini; alla fine, il disegno perverso del potere gli apparirà di una coerenza cristallina e inquietante. In questo senso, La Venere degli stracci è un libro illuminante e spaventoso.
Nel corso della lettura ci immergiamo nel lavorìo emotivo e intellettuale di chi, mentre agisce e scrive, mette in questione il proprio ruolo e il proprio privilegio sperimentando vie attraverso cui sfruttarlo per creare delle crepe antiegemonizzanti. Scrive Francesco:
«Come posso osservare i frammenti senza affidarmi alle categorie?»
«La scrittura diventa un metodo: smontare gli effetti scenici, trovare la figura marginale e oscena, mostrarla mentre fugace appare senza intrappolarla in significati cristallizzati»
«Gli straccivendoli hanno il diritto di stare nel quartiere, la loro è una lotta di giustizia, ma noi non possiamo ricondurre questa lotta a nessuno schema, possiamo solo appoggiarla nel disorientamento pieno di stupore dove non stiamo capendo nulla»
Contrastare il potere non è cosa facile, soprattutto se non si conoscono i soggetti che lo agiscono. È per questo che ogni lotta non può fare a meno di studiare il nemico che sta combattendo – il suo linguaggio, i suoi desideri, i suoi piani. In questo senso, La Venere degli stracci mi sembra proporre una strategia molto chiara. Chi lo ha scritto ha studiato a fondo il nemico. La condivisione delle sue ricerche mi sembra un dono che possiamo sfruttare a nostra volta.
Pagina dopo pagina, tra fonti storiche e documenti recenti, capiamo che lo sgombero degli straccivendoli inflitto alla fine del 2019 ha radici profonde, si fonda sul ricatto e ha innumerevoli sostenitori. Tra questi, il governo cittadino, associazioni di categoria, fondazioni bancarie, terzo settore, imprese, comitati di quartiere, centri di accoglienza, centri di produzione artistica e culturale, strutture ricettive, forze dell’ordine, servizi d’ordine a gestione privata, ecc. I loro progetti parlano di «sviluppo inclusivo», «innovazione sociale», «solidarietà», «comunità» e bellezza, ma il racconto dimostra l’esattezza dell’equazione leggibile negli striscioni dei resistenti: «Riqualificazione = guerra ai poveri».
Allo stesso modo, il racconto chiarisce le connessioni tra lo sgombero degli straccivendoli a quello di altre realtà che trasgrediscono la norma: l’occupazione anarchica di Via Alessandria (L’Asilo), l’Ex-Moi abitato da centinaia di rifugiati, una palazzina occupata di Via Borgo Dora, un campo rom a nord della città. Il libro riporta le testimonianze di questi momenti attraverso le voci di chi li ha vissuti in prima persona e di chi li ha osservati dall’esterno.
«Cieli comuni, orizzonti divisi»
Il ritratto del Balon viene fuori anche dai racconti dei suoi venditori, quelli che il potere ha sempre considerato «altri» («stranieri», «immigrati», «neri», «zingari»). La grandezza del libro, in questo caso, sta nell’onestà di una restituzione che non riduce mai l’eterogeneità delle cose ma, anzi, non ha timore di mostrarla, anche quando essa contraddice le aspettative dell’autore, procurandogli le vertigini.
La maggior parte degli straccivendoli ritenuti «altri» non ha alcun dubbio su chi sia il responsabile della propria «libertà condizionata». Alcuni di loro hanno resistito allo sgombero fino alla fine con consapevolezza e determinazione. Le loro parole sono un misto di rabbia, dolore, senso di ingiustizia, delusione, frustrazione, saggezza e voglia di vivere.
Le strategie del potere e la libertà, però, non vengono percepite nello stesso modo da tutti. Così, nel racconto, troviamo anche le voci di chi, ad esempio, ha ottenuto la cittadinanza italiana e ammette: «Io non protesto se vogliono togliere il mercato. Io ho giurato come cittadino italiano di rispettare le leggi». In un altro frammento leggiamo: «Parliamo chiaro: gli stranieri hanno esagerato: (…) Quando c’erano gli italiani –siciliani, calabresi, piemontesi, pugliesi – era meglio». O ancora «L’italiano non ti ruba la scarpa. Invece l’arabo ce l’ha per vizio di rubare».
Alcune di queste posizioni, dice Francesco, sembrano affette da un «dissidio interno».
La voce dell’«altra»
La resistenza degli straccivendoli, sin dall’inizio, ha una voce e un corpo che fanno da perno. Moltissime pagine del libro parlano con la voce di Claudia, brasiliana, arrivata a Torino nel 2005 e subito approdata al Balon. Il titolo del libro è un omaggio alla sua persona e non il rimando a una famosa opera d’arte contemporanea. Qualche settimana fa, lei e Francesco mi raccontano che il professore di italiano di Claudia, dopo avere letto La Venere degli stracci, le dice che dalla storia della sua vita si capisce cos’è la libertà.
Alcuni frammenti riportano le parole di Claudia gridate al megafono durante le contestazioni in strada; altri trascrivono i suoi discorsi indirizzati alla sindaca e ai suoi amici. Altri ancora sono riflessioni appuntate durante i presidi resistenti:
«Il quartiere anarchico di Porta Palazzo si mobilita contro la speculazione dei borghesi e i loro calcoli matematici, contro la loro buona morale che in realtà è sfruttamento dei poveri. Sono giornate di freddo e tensione, ma piano piano si prende coscienza della responsabilità e si rifiuta la sottomissione psicologica che si aveva in precedenza (…)»
Lo scopo politico dei governanti, secondo lei, «è ottenere potere attraverso il disispero delle persone semplici (…)». Il Disispero «è un senso di sconforto, una disperata mancanza di energia che minaccia chi vive ai margini». Per Claudia, la lotta è «un antidoto al disispero».
«L’alleanza dei corpi»
Non pochi solidali si sono uniti alla lotta degli straccivendoli nel corso degli ultimi anni. Alcune pagine del libro ricordano i presidi resistenti che si svolgevano di venerdì, dalla sera all’indomani mattina. Era la modalità che permetteva ai venditori abusivi di avere un posto al Balon del sabato. Ai mercatari e ai solidali piaceva chiamarle «notti dei fuochi». Attorno ai fuochi accesi per scaldarsi sono successe le cose più umanamente incredibili che uno spazio pubblico cittadino potesse immaginare. «Eravamo in quel momento una sola ragione: la resistenza del mercato che nella mattina dava la possibilità a ogni operatore di sopravvivere» – scrive Claudia.
Quest’alleanza di corpi e menti si è rivelata utile per otto mesi. Nel racconto, alcune tracce dei momenti vittoriosi si esprimono all’unisono e sembrano dialogare: «Il mercato autogestito smentisce il mito che si debba essere sottomessi a una legge di autorità, e obbedire» (Claudia). «Che gli ultimi, gli straccioni marginali e senza diritti, possano invalidare l’autorità delle istituzioni, questo mi sembra lo scandalo della stagione dei fuochi» (Francesco).
La sequenza di eventi che affollano il 2019 mostra come ciascuna resistenza è seguita da una repressione sempre più sproporzionata. Organizzati in un’assemblea di «cani sciolti», dove «identità ed etichette erano così mescolate da confondersi e quasi sparire» (Francesco), i solidali, insieme ai venditori, si sciolgono a seguito della «disfatta del 9 novembre». È la stagione in cui nuove riflessioni e nuove scelte scrivono le prospettive future. A posteriori, i co-autori e altri solidali si interrogano sugli errori commessi: fanno autocritica – quella pratica così tanto faticosa che spesso si preferisce ignorarla.
Tra le ultime pagine, una nota di Francesco indirizzata a Claudia dice:
«M’investe l’amara sensazione che tutto cada nell’oblio (…). Noi, i solidali, siamo ormai dispersi, ma questo poco importa: non eravamo il fulcro della lotta (…). Ma cosa sarebbe successo se foste rimasti uniti, determinati a lottare? (…) Tutto è rotto e ricomporre i pezzi era forse impossibile (…). Allora vorrei che queste nostre memorie siano un modo per rendere testimonianza degli errori, un monito quando si presenterà una nuova occasione».
Alessandra Ferlito passa il suo tempo dilettandosi nella ricerca indipendente di teorie e pratiche che la portino alla scoperta di vibrazioni positive e incontri fortunati.